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Decimo dono: dirmi il sacrificale da fare.
Bene attualizzato: sia fatta la tua volontà sacrificale.
La remora dell’amore egoisticale a lasciarsi trasformare in
beneficale esige una conoscenza motivata: una coscienza.
La sufficiente me la dà la compassione: è la solidarietà.
La efficiente me la dà l’identità perfetta fra Gesù e i suoi
fratelli più piccoli per la scelta di una povertà di vita su
consiglio suo.

Pneumatica magia quella del visuato Paterno che tocca il
vecchio fideato e tutto lo rinnova. Tocca la preghiera del dire
egoisticale ed ecco uscir fuori la preghiera del fare sacrificale.
Al fare sacrificale ci si accosta pregandolo. Quando pregate,
voi dite: Padre nostro che sei nei cieli. Preghiera sacrificale,
da dire e da fare. Bene appellato e collocato. Bene
augurato e perorato; bene attualizzato: Sia fatta la tua volontà
sacrificale come in cielo così in terra. È la volontà divina
Paterna. Vuole il sacrificale suo celeste: sacrificandosi e
lasciandosi sacrificare. Vuole il sacrificale terrestre:
- il suo: per volontà moritiva salvifica: salva morendo.
- Il nostro:
. L’attivo: quello che mi do al piacerale
. Il passivo: quello che il Padre mi dona per la mia
assoluzione presente.
Mi può sacrificare il cosmo, come il nemico: sacrificale
inimicale. Può sacrificare i miei beni: componenti. Ci può
sacrificare i beni aderenti: presiedono allo sviluppo di un
corpo animato cui il Padre ha assegnato una forma potenziale
o piccolare. Aderiscono perfettamente e necessariamente
ai bisogni della persona: cibo, vestito, abitazione.
La loro penuria mi dà la povertà. Tocca a noi ricchi soccorrere
la povertà del mondo. Come? Per farlo occorre trasformare
l’amore egoisticale in beneficale; lo facciamo
con un taglio deciso al piacerale della vita, mentre col
lavoro diamo alimento al beneficale. Questa operazione
impegnativa in continuità, perché l’egoisticità non si scioglie
una volta per sempre; difficile assai per la remora ostinata
che oppone la mia egoisticità, che sa trovare motivazioni
indefinite pur di non cedere alla sua trasformazione;
la dobbiamo sostenere con valide motivazioni che ci diano
una coscienza sufficiente e efficiente.
*) Per la sufficiente ci sono umane motivazioni:
1) La prima è la compassione: ci sentiamo toccati dallo scenario
pauperico e ci muoviamo a compassione (siamo
portati cioè a soffrire con loro). Sofferenza sciolta con
l’aiuto. Soffriamo moralmente per quella indigenza
vissuta realmente. L’abbiamo per un animale, con maggior
forza la sentiamo per uno simile a noi. L’abbiamo
pronta per una persona ben disposta verso di noi proprio
con la sua richiesta; non l’avremmo forse per un
nemico. Eppure Gesù ce l’ha raccomandata: se il tuo
nemico ha fame o ha sete dagli da mangiare e da bere.
Ma la compassione si va dissecrando: sono lontani i
poveri dalla nostra visione: non li vediamo quasi più.
Inoltre, non ci si muove per dei poveri che se la sono
procurata la loro povertà.
2) La seconda è la solidarietà: con essa partecipiamo,
prendiamo parte alla condizione disagiata, soccorrendola.
Alla base di questa partecipazione ci sta una unità
morale fra tutte le persone. I legami morali che ci uniscono
sono molteplici. Li lascio pensare a voi.
I legami morali normalmente forti in una famiglia vanno
degradando in lontananza. Dalla famiglia, alla parentela,
alla paesanità, alla società, alla nazionalità, alla mondialità.
La solidarietà ha una conduzione egoisticale:
a) Io conosco quanto è bello star bene nella vita, e per
questo vorrei che stessero bene anche agli altri.
b) È una forma di comunione egoisticale.
c) Può avere pure un sapore di scongiuro: perché non
succeda anche a noi quello che è toccato agli altri
ridotti in povertà da eventi cosmici o bellici.
d) Ha sapore pure previdenziale: noi oggi soccorriamo
loro, perché un domani altri soccorrano noi nel bisogno.
La solidarietà ha una cosa sola di valido: l’effettivo aiuto che
diamo ai poveri. Non c’è nulla di meglio per noi cristiani? Per
rintracciarlo dobbiamo fare due distinzioni: ci sono i poveri
del Padre e ci sono i poveri del Figlio. Che il povero sia anche
il piccolo è facile capirlo. I più piccoli sono del Figlio. Sono
i poveri di libera volizione. Hanno scelto la povertà su consiglio
Figliale. Formano una identità grandiosa col Figlio.
L’avete fatto a me: un bicchiere di acqua. La ricompensa?
Venite, benedetti. Che questo ci dia una coscienza efficiente.

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